2.2 IL DIDJERIDOO, STRUMENTO DELLA TRADIZIONE ABORIGENA

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2.2 IL DIDJERIDOO, STRUMENTO DELLA TRADIZIONE ABORIGENA
2.2.1 ORIGINE, FATTI, MITI, TABÙ

Il più noto strumento musicale dell’Australia aborigena è un aerofono denominato didjeridoo che è lo strumento sacro degli aborigeni australiani. Esistono dei graffiti che lo raffigurano risalenti a circa 2000 anni fa, anche se non si può escludere una possibile datazione anteriore. Il nome didjeridoo è un’interpretazione onomatopeica fatta dai colonizzatori inglesi. Una volta sbarcati sul nuovo continente, gli invasori sentirono il suono ritmato “did-ge-ridoo” proveniente da rami di eucalipto cavi suonati dagli aborigeni. Lo strumento, originario dell’Arnhem Land, viene chiamato dalle comunità aborigene in almeno cinquanta modi diversi a seconda del luogo e delle etnie: djalupu, djubini, ganbag, gamalag, maluk, yidaki, yirago, yiraki, yigi yigi71. Il didjeridoo tradizionale ha la forma di un tubo leggermente conico o cilindrico, dalla lunghezza oscillante di media tra il metro e dieci e il metro e mezzo e aperto ad ambedue le estremità dove sulla più stretta è applicato un bocchino fatto di cera d’api. Si tratta di uno strumento musicale naturale non costruito dall’uomo ma scavato dalle termiti. Infatti, nella maggior parte dei casi, è ricavato da un tronco o da un ramo di eucalipto svuotato a opera di questi insetti. Per scoprire se un tronco è vuoto, i fabbricanti indigeni di didjeridoo vi picchiettano sopra. In seguito essi procedono a tagliarlo con speciali asce di pietra o, attualmente, con comuni seghe a motore. A questo punto, con un machete viene rimossa la corteccia e l’interno viene ripulito con un panno. Per constatare se esistono buchi o fessure, il tronco ripulito, sigillato ad entrambe le estremità con le mani, viene immerso in acqua per vedere se si producono bollicine. Eventuali buchi vengono tappati con cera d’api72.

I didjeridoo tradizionali sono in eucalipto e vengono decorati con motivi totemici aborigeni. Attualmente si possono trovare strumenti fabbricati con materiali diversi che vanno dal teak alla plastica, dal metallo alla ceramica. Solitamente per dipingere i didjeridoo viene utilizzata l’ocra.

Un altro metodo di decorazione consiste nell’incidervi sopra con un ferro rovente motivi geometrici e figure collegate al Dreaming. In genere, gli aborigeni decorano solamente i didjeridoo che intendono vendere ai turisti o utilizzare per le cerimonie. In quest’ultimo caso, il modo con cui i didjeridoo vengono decorati è simile al modo utilizzato dagli aborigeni nel dipingere il corpo per i riti sacri. I motivi ornamentali utilizzati hanno origine mitologica e spesso sono soggetti a tabù religiosi. Per questo motivo le decorazioni dipinte vengono rimosse subito dopo la cerimonia. In alcuni casi, il didjeridoo viene addirittura bruciato. Quando i nativi decorano i didjeridoo destinati alla vendita, omettono alcuni dettagli artistici della storia ancestrale. Anche se è altamente improbabile che un bianco possa riconoscere e interpretare questi dettagli, tali omissioni rappresentano un mezzo per proteggere la conoscenza sacra della tribù73.

Nella tradizione e nelle visioni del mondo aborigene, il didjeridoo è parte integrante del mito e diverse storie spiegano la sua origine. Secondo una di queste, diffusa nel Territorio del Nord, un giorno Yidaki il guerriero tornava dalla caccia con un canguro sulla spalla. Durante il cammino vide a terra un ramo secco: lo raccolse, notò che era cavo e che dentro c’erano molte termiti. Yidaki, allora, per sbarazzarsi degli insetti, soffiò dentro al ramo. Così facendo, produsse il caratteristico suono del didjeridoo. Il giovane guerriero portò il ramo cavo alla propria tribù e lo suonò per la propria gente. Al suono dello strumento tutti accorsero, si dipinsero con l’ocra e cominciarono a danzare. Nel corso della sua vita, Yidaki, insegnò a molti altri giovani uomini a suonare questo strumento. Fu così che esso entrò a far parte della loro cultura. Quando Yidaki morì, il suo spirito si trasferì in tutti i didjeridoo. Gli aborigeni del Territorio del Nord credono che, poiché è uno spirito maschile quello presente nel didjeridoo, quest’ultimo è uno strumento da uomini. Le donne non dovrebbero usarlo74.

A tal proposito, lo scrittore Rowan Coughlin75 rileva come una delle più singolari questioni correlate al didjeridoo sia quella riguardante la proibizione fatta alle donne di suonare o anche solo toccare questo strumento. La tradizione vuole che se una donna suona il didjeridoo resterà incinta, secondo altri invece diventerà sterile, per altri ancora concepirà due gemelli. Interpellati in proposito, alcuni aborigeni rispondono che le donne non hanno abbastanza forza per soffiare con la stessa potenza degli uomini. Altri rispondono che semplicemente è un compito da uomini, altri ancora, invece, sembrano non capire neanche la domanda. Anche se è vero che, presso gli aborigeni dell’Australia settentrionale, le donne non suonano mai il didjeridoo nelle cerimonie, in tali zone pare non sussistano restrizioni circa l’uso profano dello strumento. L’area invece in cui sono presenti le restrizioni più severe è l’Australia sudorientale, dove peraltro lo strumento è stato introdotto solo recentemente. Nel Dreaming non esiste alcuna esplicita proibizione riguardante il suonare il didjeridoo da parte delle donne76.

Il particolare interesse suscitato da questo singolare strumento è dato dalla sua tecnica di esecuzione. Si tratta di una tecnica respiratoria che permette l’emissione continua del suono: la respirazione circolare. Fisicamente è impossibile per la natura della conformazione dell’apparato respiratorio umano inspirare ed espirare allo stesso tempo. Il problema è superato grazie a questa tecnica che permette di mantenere una riserva d’aria nelle guance ed espellerla nello stesso momento in cui si inspira con il naso. Ulteriori suoni sono ricavati da movimenti della lingua, delle labbra, dall’uso delle corde vocali e dal movimento del diaframma. Normalmente il didjeridoo non viene suonato dagli aborigeni come strumento solista. Esso fa parte di un ensemble nel quale vi è sempre presente un cantante che spesso canta accompagnandosi con dei bastoncini ritmici denominati bilma. A volte in tali ensemble possono esserci diversi suonatori di bilma, ma sempre un solo suonatore di didjeridoo, che spesso incrementa la sezione ritmica percuotendo il corpo dello strumento con un boomerang o con un bastoncino mentre suona77.

Le canzoni tribali, così come vengono eseguite nelle cerimonie, sono formate da centinaia di brevi strofe, la cui durata va dai quindici secondi al minuto e mezzo intervallate da brevi momenti di riposo o di conversazione. La lunghezza di un’esibizione può variare da due a tre ore a un’intera giornata o nottata, a seconda delle occasioni. Da un punto di vista musicale, le canzoni tribali sono divise in tre sezioni. La prima sezione è quella introduttiva: il cantante stabilisce il modello ritmico dei bastoncini e comincia a cantare frasi del testo, mentre il suonatore di didjeridoo si prepara mentalmente a fornire un appropriato accompagnamento ritmico alle frasi melodiche del cantante. La seconda sezione comprende il corpo principale della strofa che prevede l’alternarsi di diversi modelli ritmici di didjeridoo e bastoncini mentre i danzatori si producono in movimenti rappresentanti qualche impresa degli esseri ancestrali. Nella terza e ultima sezione della strofa, il cantore prosegue a recitare frasi del testo78. Nell’esecuzione di queste canzoni tribali l’improvvisazione assume una grande importanza, soprattutto da parte del cantante. Anche il suonatore di didjeridoo riveste un ruolo primario nell’ambito dell’ensemble che esegue le canzoni tribali. Egli stabilisce la base ritmica della strofa insieme alla voce del cantante e ai bastoncini ritmici79.

Nel corso dei momenti meno formali delle cerimonie, il suonatore di didjeridoo ha maggiori possibilità di eseguire stili più personali e contemporanei. Ciò accade specialmente durante l’esecuzione delle cosiddette Yuta Manikay, ossia le nuove canzoni. Esse costituiscono una sorta di sottogenere nell’ambito dell’esecuzione delle canzoni tribali. Le Yuta Manikay sono frutto della creatività dei cantanti. I loro testi sono ispirati da eventi contemporanei80. Sin dall’infanzia, gli aborigeni delle comunità sono continuamente esposti ai modelli stilistici degli anziani. Una volta che un giovane comincia a suonare nelle cerimonie, viene guidato dai cantanti e dai suonatori più esperti. In genere, il suonatore di didjeridoo incomincia a suonare nelle cerimonie a quattordici anni di età. Tuttavia, i primi contatti con lo strumento avvengono in ben più tenera età, a partire dai sei anni. I ragazzi prossimi a raggiungere l’età della performance si esercitano a eseguire sia modelli tradizionali da loro memorizzati sia nuove figure ritmiche da loro inventate. Gli adulti iniziati non suonano mai il didjeridoo a puro scopo di intrattenimento81.

Tuttavia, con il passare del tempo, come vedremo, la contaminazione tra la cultura aborigena e la cultura bianca ha fatto sì che il didjeridoo da strumento utilizzato soprattutto in un contesto magico-rituale, pur mantenendo la sua connotazione originale seppure molto sfumata, passa a essere anche strumento ricreativo. Nasce così una nuova tradizione in chiave ludica, soprattutto a opera di giovani suonatori.

 

71 Cfr. Kleinert, Sylvia and Neale, Margo, op.cit.

72 Coughlin, Rowan, Il didjeridoo: voce antica, spirito moderno, Termoli, Strade blu, 2001, p. 15.

73 Ibidem, p.16.

74 Cfr. Coughlin Rowan, op. cit. Kleinert, Sylvia and Neale, Margo, op.cit.

75 Coughlin Rowan, op.cit. p.93.

76 Ibidem, pp. 94-95.

77 Cfr. Furlan, Alberto e Ferroni, Andrea, op. cit.

78 Coughlin, Rowan, op. cit., pp. 21-22.

79 Cfr. Kleinert, Sylvia and Neale, Margo, op.cit.

80 Coughlin, Rowan, op. cit., p.26.

81 Ibidem, p.30.

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