2.1 Sullo scaffale di un negozio di dischi australiano

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NUOVE TECNOLOGIE, MUSICA OCCIDENTALE NELL’ESPRESSIONE MUSICALE ABORIGENA
2.1 Sullo scaffale di un negozio di dischi australiano

In una conferenza al primo Tracking Kultja Aboriginal Festival in Canberra (Ottobre 2001) George Rrurrambu, leader storico del complesso rock aborigeno Warumpi band,interviene sulla qualità della musica indigena commercializzata. Al primo stadio, in unascala ascendente di valori, ci sono quei prodotti che descrivono la vita e il mondoaborigeno oggi, al secondo posto si trovano le canzoni tradizionali eseguite secondo i
modelli espressivi della musica popolare, al primo posto e degna di massimo rispetto, ditimore reverenziale nelle stesse sue parole, la musica tradizionale.
Negli scaffali dei negozi di dischi australiani, sotto l’etichetta “Australiana” di trova di tutto.
Senza analizzare le pubblicazioni che si spostano verso il settore di quel fenomeno mondiale di invenzione sonora che si chiama New Age, diremmo che principalmente, su quegli scaffali, si può trovare questo tipo di pubblicazione (Nature Nature, Invitation, 1999) in cui la commistione di elementi occidentali, naturali, naturalistici ed indigeni racconta un luogo sonoro immaginifico, descrive la natura ed i suoi elementi.
L’iconografia è chiara: una cascata sullo sfondo, luogo puro e intatto (background metaforico e reale di tutto il progetto sonoro, il disco è infatti registrato live nelle Blue Mountains, nei pressi di Sydney), un suonatore di didjeridu indigeno ed un flautista bianco, unione di due culture nella tradizione culturale dei “primi australiani.” Questo disco potrebbe essere un manifesto della difficile quanto cercata integrazione sociale in Australia, un pegno di rispetto che il governo australiano, di facciata, non smette quotidianamente di pagare sui principali media.
Ma sugli stessi scaffali troviamo anche questo tipo di pubblicazione (Didgeridoo Dreamtime, Indigenous Australia, 1996) nel quale si utilizza la musica tradizionale più orecchiabile come merchandising culturale ad uso e consumo del turista entusiasta. I brani contenuti all’interno sono probabilmente originali, ma non vi è alcuna indicazione, o meglio una laconica “Collezione di autentiche canzoni aborigene tradizionali registrate nel remoto Queensland del nord” che non specifica né gruppo di appartenenza né identità degli esecutori.
Abbiamo poi il settore del virtuosismo e della sperimentazione: (David Hudson, Rainbow Serpent, Celestial Harmonies, 1994) artisti aborigeni in solo o con altri esecutori non indigeni sperimentano le possibilità sonore e compositive di quello che si può chiamare il “suono indigeno.” Abbiamo quindi il virtuosismo esasperato del didjeridu e la commistione compositiva con le sonorità africane come nel pezzo chiamato, appunto Afrodidj. (Le tecniche di didjeridu usate in questo pezzo non sono immaginabili in un ambito cerimoniale tradizionale.)
Con un salto poi, e neanche tanto alto, si arriva dall’altra parte della barricata: musica “aborigena” (virgolettato intenzionalmente) eseguita da interpreti non-indigeni. (La seguente pubblicazione italiana resta come esempio: Echi tribali, RCS, 1999), seguendo la via di quello che oggi viene chiamato “world beat.” Questo processo è eseguito sia da artisti non indigeni che da artisti indigeni.
Cercando ancora troviamo sonorità indigene mischiate a ritmiche e modalità espressive occidentali quali il rock e il pop, secondo un processo che però, come vedremo in seguito, è autonomo e diverso da quello di appropriazione della globalizzazione musicale odierna.
Sonorità che sono diventate parte del bagaglio espressivo delle stesse popolazioni indigene sin dai primi tempi della colonizzazione euroaustraliana. Possiamo quindi trovare raccolte di musica country (AA.VV., Buried Country. The Story of Aboriginal Country Music, Festival Mushroom, 2000) o album più recenti di pop e rock indigeno (No Fixed Address, From My Eyes, Mushroom Records 1992; Nangu Red Sunset Band, Nangu, CAAMA, 1998).
Con un po’ di fortuna, magari in un mercatino all’aperto, troveremo registrazioni di musica tradizionale (Bushfire. Traditional Aboriginal Music, Larrikin Records, 1991) di vario genere, e, a cercarli bene, ma con una dose di fortuna forse improbabile, troviamo dei documenti storici veri e propri (Rak Badjalarr. Wangga songs for North Peron Island by Bobby Lane, AIATSIS, 2001) corredati da un libretto interno redatto da etnomusicologi.
La diffusione della musica degli aborigeni australiani non si limita al solo continente autoctono, ma varca i confini dell’oceano. Usa, Germania e Olanda, i mercati principali.
La diffusione in patria avviene su diverse scale, case discografiche australiane, case discografiche indigene e lo spirito individuale sostenuto da una duplicazione casalinga comunitaria favoriscono la circolazione di questi prodotti.
Annualmente viene conferito un riconoscimento ai migliori interpreti indigeni nelle diverse categorie musicali. Il repertorio moderno aborigeno abbraccia tutti i campi dell’espressione musicale contemporanea: dal country al rock, dal rap al pop.

14 Questo paragrafo è originariamente stato pubblicato sul sito internet: aborigeni.didgeridoo.it per gentile concessione di Ilario Vannucchi allora proprietario del sito. Si trova ancora traccia qui: http://www.didgeridoo.it/Old-Site/_aborigeni/aborigeni_index.html

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