2.4.1 IL DIDJERIDOO COME PRODOTTO COMMERCIALE

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2.4 IL DIDJERIDOO: ICONA NEL PANORAMA INTERNAZIONALE
2.4.1 IL DIDJERIDOO COME PRODOTTO COMMERCIALE

Il didjeridoo è divenuto oggi un’icona dell’aborigenalità. Perfino in quelle parti dell’Australia dove tradizionalmente non veniva suonato, soprattutto nell’Australia sudorientale, gli aborigeni hanno cominciato a farlo, considerando questo strumento un mezzo utile per riappropriarsi della propria identità. Di conseguenza, il didjeridoo è diventato anche il prodotto indigeno maggiormente pubblicizzato e commercializzato e costituisce un esempio di diffusione culturale nell’era della globalizzazione111. Numerosi sono i negozi d’ arte dove viene venduto, cosi come numerosi sono i turisti che lasciano l’Australia con un didjeridoo sottobraccio quale souvenir del loro viaggio. Il grande fascino suscitato da questo strumento ha portato alla creazione di una vera e propria industria per la produzione di didjeridoo come oggetti commerciali, dunque privi del loro valore simbolico e culturale. Si stratta di semplici souvenir per turisti, desiderosi di portare a casa quello che è diventato un simbolo dell’Australia112.

In tal modo, negli ultimi anni il didjeridoo ha acquisito un ampio grado di popolarità sia per il suo ingresso nel mercato globale della World Music sia per la sua diffusione al di fuori del contesto tradizionale grazie al turismo. Accanto all’interesse da parte dei musicisti per le qualità acustiche dello strumento e per la tecnica necessaria per suonarlo, si è riscontrata anche una grande curiosità sul suo ruolo nell’ambito della cultura tradizionale aborigena. Lo scambio di informazioni relativo a queste sollecitazioni si è avuto grazie a molteplici e diversi media. Secondo lo studioso Rowan Coughlin, tuttavia, queste si sono rivelate spesso difficili da ottenere se non addirittura erronee. In molti casi, la loro fonte, per il turista che si reca in Australia più o meno desideroso di sapere, conoscere e comprendere, è di natura commerciale e si concretizza nella figura di un commesso in un negozio di souvenir. Per chi resta in Europa, uno dei modi più utilizzati per ricavare informazioni sullo strumento è dato dalle note di copertina di qualche disco. Anche in questo caso, la motivazione principale di chi fornisce informazioni è generalmente quella del guadagno, a discapito di esaurienti e accurate spiegazioni sulla visione degli aborigeni in merito113. Per chi è seriamente appassionato del didjeridoo, preziosa fonte di notizie è oggi rappresentata da internet a condizione che si presti molta attenzione: notizie errate, incomplete o approssimative abbondano anche nel web. Gli aborigeni della Maningrida Arts and Culture in Arnhem Land, vedendo diffondersi il fascino globale prodotto dal didjeridoo tramite internet e in seguito a una grande quantità di e-mail ricevute, richiedenti informazioni relative al didjeridoo, hanno aperto un proprio sito che include, tra i diversi argomenti, approfondimenti relativi alla musica tradizionale della regione. Ciò anche per contrastare la disinformazione presente in altri siti web114. Per questo brani di tale musica, unitamente a una descrizione dettagliata sulla fabbricazione e l’utilizzo del didjeridoo nella regione di Maningrida, si possono acquistare per via telematica.

Spesso, a livello internazionale, il modo in cui il didjeridoo e la sua musica vengono commercializzati comporta una sorta di spiritualizzazione forzata dello strumento in quanto non prodotta da nativi. Buona parte delle registrazioni di musica per didjeridoo in vendita nei negozi di dischi, infatti, è realizzata per lo più da artisti non aborigeni. Pertanto, considerato che le fonti commerciali ed erudite sembrano essere ognuna a suo modo carente, l’unica cosa da fare sarebbe di attingere a fonti indigene originali, ricordando però, che non esiste una cultura aborigena unica115. Nella maggior parte dei casi poi esse non affrontano gli specifici argomenti venuti alla ribalta negli ultimi anni come l’utilizzo del didjeridoo nella musica popolare e la sua diffusione a livello internazionale. Il passaggio di questo strumento a oggetto commerciale ha suscitato un dibattito sull’ originario simbolismo attribuitogli dalla cultura aborigena che sembra svilito dal fatto che questo strumento è perlopiù suonato da persone che, in molti casi, non hanno neanche mai visto l’Australia.

Come afferma Rowan Coughlin116, che ha indagato sulle opinioni degli aborigeni in merito, se per alcuni, l’idea dell’appropriazione e dello sfruttamento commerciale della cultura aborigena da parte di persone non aborigene genera un forte risentimento, per altri la diffusione del didjeridoo e il suo uso anche da parte di persone non aborigene rappresenta un ottimo mezzo per estendere a livello internazionale la conoscenza della cultura aborigena. A quanto pare, coloro che nutrono il più grande astio per l’appropriazione da parte degli occidentali della cultura aborigena sono gli indigeni dell’Australia sudorientale: regione dove le popolazioni indigene hanno subito la maggiore perdita di terra, linguaggio e cultura e dove, ancora oggi la loro identità è fortemente minacciata. Alcuni di loro affermano che, dopo aver portato via la terra e i bambini, adesso i bianchi cercano di portare via agli aborigeni anche le uniche cose che sono rimaste loro: le canzoni, le danze, l’arte. Nelle zone settentrionali, dove la cultura e il linguaggio indigeni sono meno minacciati, c’è una maggiore tolleranza nei confronti dei bianchi che suonano il didjeridoo117, Questa diversità di posizione conduce a un’altra questione frequentemente dibattuta in merito al didjeridoo: quella dell’autenticità. Secondo Rowan Coughlin, c’è chi afferma che qualsiasi didjeridoo che non sia di legno di eucalipto non meriti neanche tale denominazione. D’altra parte, invece, c’è chi sostiene che quello che conta è il suono e che i didjeridoo possono essere costruiti con qualsiasi materiale disponibile, anche artificiale. Al di fuori dell’Australia, e da qualche tempo anche nel continente australiano, a causa del rapido esaurimento di certi tipi di legno, i fabbricanti e i suonatori di didjeridoo si vedono spesso costretti a utilizzare altri materiali. Di conseguenza, circolano sempre più didjeridoo costruiti con resine varie, bambù, agave, legni alternativi all’eucalipto, creta, ottone, alluminio e persino vetro. In Australia, la conservazione, la fabbricazione e il commercio del didjeridoo fanno parte ormai dell’industria del turismo di massa. Tuttavia, gli aborigeni sembrano essere più tolleranti degli occidentali riguardo la questione del materiale usato per la fabbricazione dei didjeridoo, perlomeno quando ciò avviene in un contesto che non sia cerimoniale118.

La questione dell’autenticità riguarda anche i testi musicali. Generalmente i musicisti non aborigeni, consapevoli del fatto che il didjeridoo fa parte integrante della tradizione rituale aborigena, per la maggior parte affermano di non copiare lo stile tradizionale indigeno: un atto, questo, considerato generalmente come plagio culturale. E’ singolare notare come alcuni tra i principali esponenti bianchi del didjeridoo, Charlie MacMahon e Graham Wiggins, che hanno trascorso entrambi un periodo di tempo a stretto contatto con gli aborigeni, suonino un tipo di musica che si discosta alquanto da quella tradizionale. Ciò sembra suggerire che, in genere, una volta appresa la tecnica strumentale tradizionale, i musicisti cerchino di applicarla alla propria sensibilità musicale, dando un’impronta il più possibile personale allo strumento119. A tal proposito, David Hudson, suonatore australiano di didjeridoo, afferma di trarre ispirazione per i propri ritmi dalla terra, dai suoni e dai rumori del bush. Ritiene inoltre che se un musicista vive in Europa o in America e suona il didjeridoo non ha molto senso che quest’ultimo cerchi di imitare per esempio il richiamo del kookaburra o del dingo, essendo stati sentiti tali suoni semplicemente tramite registrazione su cd. Hudson sostiene quindi che bisogna cercare di essere il più possibile personali120.

 

111 Cfr. Coughlin, Rowan, op. cit.; Barwick, Linda, “The Didgeridoo, from Arnhem Land to Internet”, ed. online:

http://www.aboriginalart.com.au/didgeridoo/myths.html

112 Cfr. Furlan, Alberto, op. cit.

113 Rowan, Coughlin, op. cit., p. 83.

114 Kleinert, Sylvia and Neale, Margo, op. cit., pp. 344-346.

115 Cfr. Kleinert, Sylvia and Neale, Margo, op. cit.

116 Rowan, Coughlin, op. cit.

117 Coughlin, Rowan, op. cit., pp. 86-87.

118 Coughlin, Rowan, op. cit., pp. 89-90.

119 Kleinert, Sylvia and Neale, Margo, op.cit.

120 Coughlin, Rowan, op. cit. p.93.

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